Da ormai 8 anni Aprire Azienda si è fatto portavoce della piccola imprenditoria agricola italiana, dei benefici, delle strategie, delle opportunità di crescita.
Una medio piccola azienda agricola italiana non può e non deve competere con i grandi colossi, con le multinazionali estere, con la lotta dei prezzi e con la logica della grande distribuzione, non può e non deve farlo.
Ecco quindi la nascita di Azienda Agricola 2.0, il manuale per l’imprenditore agricolo che punta sulla filiera corta, sulla vendita diretta, sulla qualità dei prodotti e sulla diversficazione.
Il contrario esatto di quello che professiamo qui sul blog, lo troviamo nelle logiche degli allevamenti intensivi che oggi dimostrano tutti i loro limiti.
Limiti che dovremmo superare sia per il nostro bene, sia per quello del pianeta.
Sempre più si leggono informazioni relative all’allevamento intensivo, al centro di polemiche, il più delle volte mosse dai movimenti animalisti ed ecologisti, per le condizioni nelle quali vengono costretti a vivere ovini, bovini, suini, pollame, conigli, etc.
Una formula che si adatta alle filosofie industriali e che si è diffusa a partire dal XX secolo, ma non alla filosofia della sostenibilità ambientale.
In sostanza si tratta di una netta delimitazione degli spazi a disposizione degli animali stessi e che garantisce, a chi si occupa di loro, una maggiore semplicità di gestione e monitoraggio, ottimizzando al massimo la crescita degli stessi e quindi, di conseguenza, un notevole incremento in termini produttivi ed economici.
Ma se è vero che ad aver acceso i riflettori sull’argomento sono stati inizialmente coloro che maggiormente si sentivano sensibili a tematiche inerenti il mondo animale, è altrettanto vero che negli ultimi anni, le notizie diffuse attraverso i diversi canali disponibili, hanno toccato le sensibilità più disparate, spingendo fortemente l’ago della bilancia dell’opinione pubblica verso la predilezione degli allevamenti estensivi piuttosto che verso gli allevamenti intensivi.
I vantaggi dell’allevamento intensivo
I pareri sui vantaggi e sugli svantaggi degli allevamenti intensivi sono discordanti ed è necessario quindi analizzarli nello specifico, per comprendere meglio le motivazioni che hanno spinto tanti allevatori a prediligere questa formula.
Innanzi tutto va detto che ad oggi le percentuali di produzione sono nettamente basate sull’intensivo: basti pensare che, solo in Italia, l’85% dei polli che arrivano sulle nostre tavole provengono da allevamenti intensivi.
Per quanto riguarda la carne di maiale, si arriva addirittura al 95%. La media totale, dei diversi tipi di produzione, si aggira attorno al 67% totale.
Cosa giustifica percentuali tanto alte?
Senza ombra di dubbio, l’abbattimento dei costi.
In secondo luogo, la gestione degli animali è nettamente più semplice, anche considerando che, rispetto al bestiame autorizzato a pascolare liberamente, il controllo da parte dell’uomo è decisamente facilitato, con un’importante riduzione di alcuni fattori di rischio legati al pascolo, quali la trasmissione di parassiti e malattie, veicolati da animali selvatici con i quali la mandria potrebbe venire a contatto.
Gli svantaggi dell’allevamento intensivo
L’elenco degli svantaggi è decisamente più lungo, soprattutto considerando che negli ultimi anni è cresciuta notevolmente la sensibilità nei confronti dei diritti degli animali, anche quello destinati al macello, sia perché gli allevamenti intensivi hanno nel tempo occupato i gradini più alti nella classifica tra i maggiori responsabili di inquinamento a livello globale.
Secondo un’indagine dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, gli allevamenti intensivi inquinerebbero più di auto, moto e industrie, a causa dello stoccaggio e della gestione dei reflui. Uno spaventosa percentuale del 15,1%, preceduta solo da quella relativa all’inquinamento causato dai diversi metodi di riscaldamento.
Percentuali che sembrano destinate ad aumentare, se non si riuscirà a convertire la tendenza avviata in questi ultimi anni.
Inoltre, ad essere maggiormente esposti al rischio di malattie di diverso tipo, da disturbi respiratori fino al cancro ai polmoni, sono coloro che vivono in prossimità di tali allevamenti, esposti al PM2,5.
Ovvero pericolosissime polveri sottili la cui esposizione cronica può cagionare gravissime patologie, talvolta irreversibili, specie di natura respiratoria.
Ma com’è possibile invertire questa tendenza?
Secondo gli esperti, andrebbe radicalmente modificato il modello produttivo, soprattutto attraverso l’adozione di sistemi ecologici.
Una strada che, ad oggi, pare difficilmente percorribile, vista la carenza di fondi sufficienti a tali interventi, destinati alle aziende di settore.
Intanto la Politica Agricola Comune, continua a finanziare il sistema classico, nonostante in Europa si stia discutendo con una certa intensità su una potenziale inversione di rotta, attraverso il sostegno ai piccoli produttori e a quanti sceglieranno la strada della produzione ecologica.
In prima linea restano comunque gli animalisti, fermi nel considerare inumano il sistema degli allevamenti intensivi, anche semplicemente per quanto riguarda la produzione di uova.
L’Italia ne è il secondo produttore europeo: vengono allevate oltre 40 milioni di galline ovaiole nei diversi tipi di allevamento in gabbie a terra.
Le uova fecondate vengono fatte schiudere in incubatrici. Durante le prime settimane di vita, i pulcini vengono esposti a luce artificiale per oltre 18 ore al giorno, per indurli a mangiare il più possibile. Inoltre i mangimi vengono addizionati con sostanze che stimolano l’appetito.
I pulcini subiscono ben presto la mutilazione del becco, allo scopo di prevenire il cannibalismo, frequente nel caso di situazioni di stress dovute dalla reclusione e del sovraffollamento.
Un sovraffollamento che è destinato ad aumentare.
La luce solare è sostituita da illuminazione artificiale che può indurre a gravi anemie con conseguenti stati di debolezza e apatia.
Una volta divenuti galline, vengono trasferite negli allevamenti per la produzione di uova e le uniche attività a loro consentite, sono mangiare e deporre uova.
Le gabbie sono disposte file su più piani. In ognuna sono stipate diverse galline e si calcola che la densità di individui è di circa 18 per ogni metro quadrato.
Tali condizioni impongono una situazione di costante stress che sfocia in aggressività e in comportamenti innaturali.
Va comunque detto che da gennaio 2012 le normative sono cambiate e che è stato imposto ad ogni allevamento di adeguarsi a standard di benessere, attraverso un parziale sfollamento degli spazi e all’inserimento nelle gabbie di elementi che dovrebbero rendere meno stressante la permanenza e la convivenza con le altre galline.
Anche se c’è chi sostiene che si tratti semplicemente di tentativi per mettere a tacere i movimenti a difesa dei diritti degli animali, senza danneggiare il comparto produttivo.
Inoltre va considerato, come sottolineano quanti sono in contrapposizione con gli allevamenti intensivi, che questi animali che in natura oltrepasserebbe 10 anni, nell’allevamento controllato si conclude all’età di un anno e mezzo, quando vengono mandati al macello per diventare carne di seconda scelta.
A quest’età, infatti il loro rendimento non è già più all’altezza degli standard del mercato.
A quel punto il ciclo riparte: i capannoni vengono nuovamente riempiti con altrettante galline, di un anno più giovani.
Ciò garantisce ai consumatori enormi quantità di uova, così come siamo abituati. Ogni italiano consuma infatti ogni anno oltre 220 uova, di cui più della metà direttamente e circa il 40% da prodotti trasformati.
Su Aprire Azienda, consigliamo di perseguire la strada verso il futuro sostenibile, se vuoi aprire un’azienda agricola, valuta attentamente la capacità della tua azienda a soddisfare le nuove richieste che vanno verso il benessere animale e lo sviluppo sostenibile.